Un collega tempo fa rimase sorpreso per questo mio comportamento. Il commento suonava più o meno come: "non si fanno queste cose, non è normale, in presenza non lo avremmo mai fatto". In realtà, l'ho sempre fatto anche con i gruppi in presenza e non ci trovo nulla di strano. In UK, ad esempio, oppure in Spagna, è considerato normale. Le persone durante i meeting si portano spesso acqua, tè, caffè, frutta, ecc. Gli italiani invece sono più "formali". Aspettiamo la pausa per bere e fare pipì. Non sia mai avere dei "bisogni"... - A proposito di bisogni umani: La socializzazione, la chiacchiera, passare dal collega nel suo ufficio e dire: "ciao, ti disturbo? come stai?"; non vi mancano, vero? Le conversazioni virtuali (VC) non sono conversazioni "normali". Pensare che con Zoom si possa parlare con colleghi, capi, clienti, fornitori ecc. "come se" fossimo in una vera riunione, oppure davanti alla macchinetta del caffè", è un errore antropologico. Alcuni meeting si possono fare con Zoom, altri richiedono necessariamente la presenza. - Lo sanno anche alla Microsoft, che con il suo "think tank" ha già condotto due ricerche in tal senso: prima del 2020 e poi in piena piena pandemia, quando ancora le VC erano da noi pressoché sconosciute. Durante le VC, infatti:
Questi aspetti impliciti della comunicazione umana erano considerati normali fino ai primi mesi del 2020. E' vero che le VC prevedono le cosiddette "rooms". Ma qui stiamo parlando di processi comunicativi "spontanei", connotati culturalmente e che nulla hanno a che fare con l'essere invitati dentro una "stanza". - Prima dello scoppio della pandemia, esistevano già alcune linee guida sulla "gestione remota dei team", soprattutto grazie alle ricerche anglosassoni condotte in ambito universitario e nelle multinazionali. - Oggi però abbiamo bisogno di adattare queste conoscenze innanzitutto al nostro contesto culturale. - Inoltre, dobbiamo tenere ben presente che dopo due anni di pandemia le persone sono stanche, più isolate ed esposte a problematiche psicologiche come la "zoom fatigue", dovuta all'uso eccessivo di piattaforme virtuali di comunicazione. Siamo animali sociali, scriveva Aristotele. Non rincorriamo ossessivamente il mito dell'efficienza a tutti i costi. Altrimenti avremo una serie di effetti collaterali che nel lungo periodo pagheremo a caro prezzo. ALBERTO AGNELLIConsulente di Sviluppo Organizzativo ed Analista Transazionale, Alberto supporta le persone, i gruppi e le aziende nel miglioramento del benessere personale ed organizzativo. Appassionato di Tango Argentino (si sussurra che sia insegnante) e del Total Immersion Swimming, vive a Milano ma si sente cittadino del mondo. Con E. Smith è fondatore di "Tango For Business".
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Lo stile genitoriale condiziona il comportamento dei bambini? L'atteggiamento di un insegnante influenza la loro propensione verso lo studio? Di solito pensiamo di sì. - Se dovessimo invece definire quale sia lo stile genitoriale o quello didattico "più efficace", allora potremmo avere qualche esitazione. Ciò è del tutto comprensibile, perchè si tratta di una risposta complessa, che richiede conoscenze pedagogiche specifiche. Il manager, allo stesso modo, deve avere specifiche conoscenze e abilità relazionali, se vuole svolgere bene il proprio ruolo. - Sappiamo infatti che esiste un nesso intuitivo tra comportamento manageriale e comportamento dei collaboratori. Conosciamo il nostro stile gestionale e gli effetti che provochiamo sul team? Per rispondere a questa domanda, occorre:
- Il confronto tra auto-percezione (come mi vedo) ed etero-percezione (come mi vedono gli altri) è un passaggio fondamentale, soprattutto se desideriamo intraprendere un percorso di crescita personale. E' un cammino pieno di sorprese. Mettete nel vostro zaino curiosità, coraggio ed umiltà. Siete in buona compagnia. Buon viaggio! ALBERTO AGNELLIConsulente di Sviluppo Organizzativo ed Analista Transazionale, Alberto supporta le persone, i gruppi e le aziende nel miglioramento del benessere personale ed organizzativo. Appassionato di Tango Argentino (si sussurra che sia insegnante) e del Total Immersion Swimming, vive a Milano ma si sente cittadino del mondo. Con E. Smith è fondatore di "Tango For Business". Per fortuna, ci pensa il "Sole 24 ore" a risollevare gli animi e dare coraggio a tutti coloro che svolgono questa professione, grazie ad un articolo pubblicato nel 2018. Che cosa dice l'articolo? In Italia, c'è un forte pregiudizio verso i ruoli commerciali. Ed è vero. - E' doverosa però un'osservazione: l'autore è il partner di una società di consulenza che si occupa di di formazione alla vendita. https://lnkd.in/dHV2FYxg - Per quanto lodevole sia l'iniziativa, alla fine si tratta di un'azione di marketing. Per carità, niente di male. Chiariamo perciò un punto. Le origini di questo stereotipo risalgono a molti decenni fa. Negli Usa se ne parla già dagli anni '60 e le prime ricerche qualitative, condotte da alcune università americane attraverso i "focus group", risalgono alla fine degli anni '70. https://lnkd.in/dSnSjTyN Conclusioni:
Se anzichè di vendita, parlassimo di promozione, coinvolgimento, sensibilizzazione, educazione, negoziazione, etc., scopriremmo che ogni giorno "vendiamo" qualcosa anche nel ruolo di insegnanti, genitori, imprenditori, manager, fund raisers, negoziatori, consulenti, amici, ecc. Dunque, come dice D. Pink: "Vendere è umano". E noi, parafrasando Nietzsche, aggiungiamo che "vendere è umano, troppo umano"... Covid, lavoro da casa, "zoom fatigue", stress e nuovi spazi di libertà. Cosa ne sappiamo ad oggi? Cosa fare nel futuro? Si intravvedono all'orizzonte molte opportunità, che tuttavia richiedono solide competenze socio-psicologiche per essere gestite al meglio
Lo Smart Working Observatory (2020) stima che in Italia il numero di lavoratori coinvolti nello smart working passerà dalle 570.000 unità del 2019 a più di 5 milioni unità, un trend che resisterà anche dopo la pandemia. In sintesi, è più diffuso tra: - donne con figli di età 6-14 anni - persone con elevato background professionale - persone con ruoli manageriali - nelle aziende di grande dimensioni Nel futuro cosa accadrà? A nostro avviso, i seguenti punti richiederanno una particolare attenzione:
C'è tanto lavoro da fare. Insieme. Si dice "bullying" e ho visto che è preso molto sul serio in UK, ma anche in altri paesi. Quando si ha la certezza di essere "bullizzati" sul luogo di lavoro da parte del capo o di altre persone, si parla subito con qualcuno di HR, oppure si chiama immediatamente il "solicitor" (il nostro avvocato). In genere, la procedura d'intervento è veloce e non si lascia nulla al caso. Esattamente come succede in Italia... Esempi di bullismo sul lavoro potrebbero includere: - qualcuno ha diffuso una voce malevola su di te - qualcuno continua a sminuirti nelle riunioni - il tuo capo continua a darti un carico di lavoro più pesante di chiunque altro - qualcuno ha inserito commenti o foto umilianti, offensivi o minacciosi sui social media - qualcuno al tuo stesso livello o più junior insiste nello screditare il tuo ruolo Il "bullying" non è soltanto il nostrano "cazziatone", di cui francamente siamo stufi (i capi con questa inclinazione sono evidentemente in grossa difficoltà e lo saranno sempre di più con l'arrivo delle nuove generazioni), ma è anche l'insieme di comportamenti irrispettosi nei riguardi di una persona. Vogliamo infrangere questo tabù anche in Italia? Mi rivolgo ai professionisti dell'HR che ci leggono, ma non solo. Scriveteci, fatevi sentire, commentate, rischiate. Non rimanete lì con quell'aria disincantata della serie: "lo sappiamo, ma cosa possiamo farci?". Perchè se questo è il vostro ragionamento, nel giro di qualche anno anche voi sarete in difficoltà. E' solo una questione di tempo. L'iceberg si sta sciogliendo per tutti e non certamente per via del bullying. Un nuovo modello teorico per consulenti ed HR Manager: la VERNEL Leadership, ossia la leadership per "capi delicati" :-) (attenzione, la battuta è tutelata da copyright, quindi siete pregati di citare la fonte e citare il mio profilo linkedin, pena la scomunica!) Dall'introduzione: https://lnkd.in/dN6ezgnP "In qualsiasi posto di lavoro ci si trovi è bene tenere sempre a mente che esistono delle norme e delle cose da non dire al capo che regolano i rapporti interpersonali e che ci sono scale gerarchiche da rispettare (...) Nella maggior parte dei casi, però, si deve rendere conto del proprio operato e delle proprie azioni a qualcuno cui si è subordinati". Si legge "tutta d'un fiato", vero? E' per l'assenza di punteggiatura... Andiamo avanti. Scorrendo la lista di frasi da non dire al capo, mi sono imbatto in un'idea a cui non avevo mai pensato: i capi sono fragili, deboli e dubitano delle loro capacità. Sono come tutti noi, sono essere umani! "La chiave di un buon rapporto con il proprio capo si basa su fiducia e stima reciproche. Meglio, quindi, non incrinare tale equilibrio con frasi che possano minare la stabilità del ruolo o delle capacità di un superiore". (ibidem) Però lavorare da anni insieme non significa lavorare "bene". Nei gruppi di lavoro consolidati, infatti, si stratificano pregiudizi e abitudini comportamentali che sono esattamente il contrario di quanto accade nei "team ad alta performance". Con il passare del tempo, nei gruppi di lavoro accade che il livello di "sicurezza psicologica" scende sotto una certa soglia raccomandabile (A. Edmondson); oppure non la si supera mai, rendendo perciò impossibile un vero "apprendimento di gruppo".
Questa è la penultima componente della leadership "positiva", dietro alla quale anche in questo caso ci sono azioni concrete. In particolare, il coraggio è inteso come la capacità di "avere conversazioni coraggiose" con gli altri. Devo a David White la più bella, semplice e potente definizione di che cosa significhi una conversazione coraggiosa:
Significa andare oltre i soliti clichè, il "politically correct", il consenso azzimato. Fai una prova, dai. Parla con le tue persone care e i colleghi in questo modo. Prova a dire qualcosa che in fondo ti fa paura, che non osi dire perché siamo spesso piegati alla logica del "meglio non esporsi". E allora capirai che essere leader - in questo senso - lo si può essere anche nel quotidiano. Anzi, soprattutto nel quotidiano. Allora scopriremo che questo tratto della "leadership positiva" si ritrova per esempio quando:
Coraggio, inteso in questo modo, è tutta un'altra musica... Ce ne sono molti e in parte dipendono da quale modello teorico di leadership vogliamo considerare. Noi invece vogliamo partire da un tratto molto particolare, di cui si parla poco e che invece oggi è essenziale per vivere bene i diversi ruoli che ricopriamo nella vita. Stiamo parlando della "generatività", intesa come "apertura" e desiderio di costruire anche con gli altri qualcosa di "significativo".
La "generatività" è una qualità dell'essere che diffonde energia e ottimismo, al di fuori degli slogan e della retorica. La generatività non dipende dal calcolo "costi-benefici", ma è inserita nell'orizzonte del "dono e dello scambio". "Generatività"= creare- pro-creare, creare qualcosa, fecondare. Ehi, Manager, ma tu sei veramente capace di ricevere un feedback? Non avere fretta di rispondere, ascolta la tua esitazione
E questo è vero per tanti altri aspetti che riguardano lo sviluppo personale ed organizzativo
La fonte dell'autentica leadership, caro Manager, è la tua vita stessa. Puoi frequentare Corsi, Master, qualsiasi cosa. Ma se nulla ti ha mai profondamente toccato, turbato, commosso; se nulla ti ha mai ispirato fino al punto di volerne parlare subito con altre persone; se nulla ti ha mai spinto a parlare in modo diverso, ad usare parole diverse quando ti rivolgi agli uomini e alle donne che lavorano con te; se la tua unica preoccupazione sono i risultati, il potere, lo status: Allora stai camminando in direzione opposta a ciò che desideri. "Noli foras ire, in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas. Non uscire fuori, rientra in te stesso: nell'interiorità dell'uomo abita la verità." (Sant'Agostino) |
autoriAlberto Agnelli ArchiviCategorie |