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March 2022
February 2022

MA COME, BEVI IL CAFFè DAVANTI A COLORO CHE STANNO SEGUENDO IL TUO WEBINAR?

10/3/2022

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Un collega tempo fa rimase sorpreso per questo mio comportamento. Il commento suonava più o meno come: "non si fanno queste cose, non è normale, in presenza non lo avremmo mai fatto".

In realtà, l'ho sempre fatto anche con i gruppi in presenza e non ci trovo nulla di strano. In UK, ad esempio, oppure in Spagna, è considerato normale. Le persone durante i meeting si portano spesso acqua, tè, caffè, frutta, ecc.

Gli italiani invece sono più "formali". Aspettiamo la pausa per bere e fare pipì. Non sia mai avere dei "bisogni"...


- A proposito di bisogni umani:

La socializzazione, la chiacchiera, passare dal collega nel suo ufficio e dire: "ciao, ti disturbo? come stai?"; non vi mancano, vero?

Le conversazioni virtuali (VC) non sono conversazioni "normali".

Pensare che con Zoom si possa parlare con colleghi, capi, clienti, fornitori ecc. "come se" fossimo in una vera riunione, oppure davanti alla macchinetta del caffè", è un errore antropologico. Alcuni meeting si possono fare con Zoom, altri richiedono necessariamente la presenza.

- Lo sanno anche alla Microsoft, che con il suo "think tank" ha già condotto due ricerche in tal senso: prima del 2020 e poi in piena piena pandemia, quando ancora le VC erano da noi pressoché sconosciute.

Durante le VC, infatti:

  • cambiano i ritmi sociali di inserimento nella conversazione
  • perdiamo molti indizi non verbali del nostro interlocutore, spesso indispensabili per "decifrare" ciò che veramente l'altro ci sta dicendo
  •  non possiamo, specialmente se gli interlocutori sono tanti, avere scambi sottovoce con le persone a fianco, oppure momenti di umorismo, ecc.

Questi aspetti impliciti della comunicazione umana erano considerati normali fino ai primi mesi del 2020.

E' vero che le VC prevedono le cosiddette "rooms". Ma qui stiamo parlando di processi comunicativi "spontanei", connotati culturalmente e che nulla hanno a che fare con l'essere invitati dentro una "stanza".

- Prima dello scoppio della pandemia, esistevano già alcune linee guida sulla "gestione remota dei team", soprattutto grazie alle ricerche anglosassoni condotte in ambito universitario e nelle multinazionali.

- Oggi però abbiamo bisogno di adattare queste conoscenze innanzitutto al nostro contesto culturale.

- Inoltre, dobbiamo tenere ben presente che dopo due anni di pandemia le persone sono stanche, più isolate ed esposte a problematiche psicologiche come la "zoom fatigue", dovuta all'uso eccessivo di piattaforme virtuali di comunicazione.

Siamo animali sociali, scriveva Aristotele.

Non rincorriamo ossessivamente il mito dell'efficienza a tutti i costi. Altrimenti avremo una serie di effetti collaterali che nel lungo periodo pagheremo a caro prezzo.

ALBERTO AGNELLI

Consulente di Sviluppo Organizzativo ed Analista Transazionale, Alberto supporta le persone, i gruppi e le aziende nel miglioramento del benessere personale ed organizzativo. Appassionato di Tango Argentino (si sussurra che sia insegnante) e del Total Immersion Swimming, vive a Milano ma si sente cittadino del mondo. Con E. Smith è fondatore di "Tango For Business".

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Conosciamo il nostro stile gestionale e gli effetti che provochiamo sul team?

10/3/2022

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Lo stile genitoriale condiziona il comportamento dei bambini? L'atteggiamento di un insegnante influenza la loro propensione verso lo studio?


Di solito pensiamo di sì.

​- Se dovessimo invece definire quale sia lo stile genitoriale o quello didattico "più efficace", allora potremmo avere qualche esitazione. Ciò è del tutto comprensibile, perchè si tratta di una risposta complessa, che richiede conoscenze pedagogiche specifiche.



​Il manager, allo stesso modo, deve avere specifiche conoscenze e abilità relazionali, se vuole svolgere bene il proprio ruolo.

- Sappiamo infatti che esiste un nesso intuitivo tra comportamento manageriale e comportamento dei collaboratori.

Conosciamo il nostro stile gestionale e gli effetti che provochiamo sul team?

Per rispondere a questa domanda, occorre:

  • capire quale stile esprimiamo più facilmente (esistono questionari ed altri strumenti di auto-diagnosi progettati a tale scopo)
  •  raccogliere feedback da parte di collaboratori, colleghi e persone che ci conoscono abbastanza bene (anche in questo caso, ci si avvale di strumenti di ricerca con precise caratteristiche)
  • discutere i risultati con un professionista di sviluppo manageriale, che sia esterno all'organizzazione in cui lavoriamo

- Il confronto tra auto-percezione (come mi vedo) ed etero-percezione (come mi vedono gli altri) è un passaggio fondamentale, soprattutto se desideriamo intraprendere un percorso di crescita personale.

E' un cammino pieno di sorprese. Mettete nel vostro zaino curiosità, coraggio ed umiltà. Siete in buona compagnia. Buon viaggio!

ALBERTO AGNELLI

Consulente di Sviluppo Organizzativo ed Analista Transazionale, Alberto supporta le persone, i gruppi e le aziende nel miglioramento del benessere personale ed organizzativo. Appassionato di Tango Argentino (si sussurra che sia insegnante) e del Total Immersion Swimming, vive a Milano ma si sente cittadino del mondo. Con E. Smith è fondatore di "Tango For Business".

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Che schifo vendere! Un lavoro davvero di basso livello...

9/3/2022

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Per fortuna, ci pensa il "Sole 24 ore" a risollevare gli animi e dare coraggio a tutti coloro che svolgono questa professione, grazie ad un articolo pubblicato nel 2018.


Che cosa dice l'articolo? In Italia, c'è un forte pregiudizio verso i ruoli commerciali. Ed è vero.




- E' doverosa però un'osservazione: l'autore è il partner di una società di consulenza che si occupa di di formazione alla vendita.

https://lnkd.in/dHV2FYxg

- Per quanto lodevole sia l'iniziativa, alla fine si tratta di un'azione di marketing. Per carità, niente di male.

Chiariamo perciò un punto. Le origini di questo stereotipo risalgono a molti decenni fa. Negli Usa se ne parla già dagli anni '60 e le prime ricerche qualitative, condotte da alcune università americane attraverso i "focus group", risalgono alla fine degli anni '70.

https://lnkd.in/dSnSjTyN

Conclusioni:
  • il pregiudizio verso la vendita ha origini sociali e non riguarda soltanto il nostro Paese. La capacità di superarlo dipende dalla sensibilità psicologica del venditore
  • il pregiudizio si combatte attraverso investimenti di qualità (la qual cosa non è affatto scontata) nella formazione professionale dei venditori e nell'organizzazione di servizi post-vendita (Customer Care) di alto livello
  • vendere prodotti e servizi è un'arte che richiede solide conoscenze tecniche ed una forte inclinazione verso i rapporti umani

Se anzichè di vendita, parlassimo di promozione, coinvolgimento, sensibilizzazione, educazione, negoziazione, etc., scopriremmo che ogni giorno "vendiamo" qualcosa anche nel ruolo di insegnanti, genitori, imprenditori, manager, fund raisers, negoziatori, consulenti, amici, ecc.

Dunque, come dice D. Pink: "Vendere è umano".

E noi, parafrasando Nietzsche, aggiungiamo che "vendere è umano, troppo umano"...

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ZOOM FATIGUE

9/3/2022

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Covid, lavoro da casa, "zoom fatigue", stress e nuovi spazi di libertà. Cosa ne sappiamo ad oggi? Cosa fare nel futuro?

Si intravvedono all'orizzonte molte opportunità, che tuttavia richiedono solide competenze socio-psicologiche per essere gestite al meglio

  1. Le aziende hanno bisogno di una "expertise" esterna che finora è stata trascurata oppure non considerata essenziale: sociologi, psicologi del lavoro, facilitatori del cambiamento, data scientist, organisational learning designer, consulenti di sviluppo organizzativo, architetti, counselor, posturologi, medici ed antropologi che sappiano lavorare insieme ad HR Director intelligenti ed appassionati per modellare le organizzazioni del futuro
  2. Grazie al virus Covid 19, un movimento culturale di ri-umanizzazione del lavoro bussa alle porte delle organizzazioni. A ben vedere, non tutto ciò che sta succedendo è negativo

Lo Smart Working Observatory (2020) stima che in Italia il numero di lavoratori coinvolti nello smart working passerà dalle 570.000 unità del 2019 a più di 5 milioni unità, un trend che resisterà anche dopo la pandemia.

In sintesi, è più diffuso tra:

- donne con figli di età 6-14 anni
- persone con elevato background professionale
- persone con ruoli manageriali
- nelle aziende di grande dimensioni

Nel futuro cosa accadrà?

A nostro avviso, i seguenti punti richiederanno una particolare attenzione:
  • Produttività. Diventerà la "spina nel fianco" dei sindacati, dei partiti e delle direzioni del personale, perché la vita "liquida" studiata dal sociologo Z. Bauman - ben prima del Covid- non si lascia imbrigliare dalle politiche salariali e dagli strumenti di controllo tradizionali (badge, premi di produzione, straordinari, ecc.). Nel lungo periodo, lo smart-working abbassa la produttività e induce nelle persone un senso di appiattimento dovuto alla "confort zone" e all'assenza di stimoli relazionali
  • Gestione dello stress. La "fatica da zoom" è legata alle assenza di confini tra ore di lavoro e vita privata. Ci sono conseguenze fisiche e psicologiche già segnalate da numerose ricerche internazionali: postura scorretta, danni oculari e "overload cognitivo"
  • I nuovi spazi e arredi aziendali - modificati oppure progettati ex novo in questi ultimi due anni - modificano gli assetti socio-relazionali dei gruppi di lavoro. Aumenterà il senso di solitudine dei lavoratori, di anonimato e le aziende subiranno dei contraccolpi a livello di "corporate culture" e motivazione delle persone

C'è tanto lavoro da fare. Insieme.

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BULLYING

4/3/2022

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Si dice "bullying" e ho visto che è preso molto sul serio in UK, ma anche in altri paesi.

​Quando si ha la certezza di essere "bullizzati" sul luogo di lavoro da parte del capo o di altre persone, si parla subito con qualcuno di HR, oppure si chiama immediatamente il "solicitor" (il nostro avvocato).


In genere, la procedura d'intervento è veloce e non si lascia nulla al caso.

Esattamente come succede in Italia...

Esempi di bullismo sul lavoro potrebbero includere:

- qualcuno ha diffuso una voce malevola su di te
- qualcuno continua a sminuirti nelle riunioni
- il tuo capo continua a darti un carico di lavoro più pesante di chiunque altro
- qualcuno ha inserito commenti o foto umilianti, offensivi o minacciosi sui social media
- qualcuno al tuo stesso livello o più junior insiste nello screditare il tuo ruolo

Il "bullying" non è soltanto il nostrano "cazziatone", di cui francamente siamo stufi (i capi con questa inclinazione sono evidentemente in grossa difficoltà e lo saranno sempre di più con l'arrivo delle nuove generazioni), ma è anche l'insieme di comportamenti irrispettosi nei riguardi di una persona.

Vogliamo infrangere questo tabù anche in Italia?

Mi rivolgo ai professionisti dell'HR che ci leggono, ma non solo.

Scriveteci, fatevi sentire, commentate, rischiate.

Non rimanete lì con quell'aria disincantata della serie: "lo sappiamo, ma cosa possiamo farci?".

Perchè se questo è il vostro ragionamento, nel giro di qualche anno anche voi sarete in difficoltà. E' solo una questione di tempo.

L'iceberg si sta sciogliendo per tutti e non certamente per via del bullying.

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VERNEL LEADERSHIP

4/3/2022

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Un nuovo modello teorico per consulenti ed HR Manager: la VERNEL Leadership, ossia la leadership per "capi delicati" :-)


(attenzione, la battuta è tutelata da copyright, quindi siete pregati di citare la fonte e citare il mio profilo linkedin, pena la scomunica!)

Dall'introduzione:

https://lnkd.in/dN6ezgnP

"In qualsiasi posto di lavoro ci si trovi è bene tenere sempre a mente che esistono delle norme e delle cose da non dire al capo che regolano i rapporti interpersonali e che ci sono scale gerarchiche da rispettare (...) Nella maggior parte dei casi, però, si deve rendere conto del proprio operato e delle proprie azioni a qualcuno cui si è subordinati".

Si legge "tutta d'un fiato", vero? E' per l'assenza di punteggiatura...

Andiamo avanti.

Scorrendo la lista di frasi da non dire al capo, mi sono imbatto in un'idea a cui non avevo mai pensato: i capi sono fragili, deboli e dubitano delle loro capacità. Sono come tutti noi, sono essere umani!

"La chiave di un buon rapporto con il proprio capo si basa su fiducia e stima reciproche. Meglio, quindi, non incrinare tale equilibrio con frasi che possano minare la stabilità del ruolo o delle capacità di un superiore". (ibidem)

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LAVORARE BENE IN GRUPPO SI PUO'

4/3/2022

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​Però lavorare da anni insieme non significa lavorare "bene".
 
Nei gruppi di lavoro consolidati, infatti, si stratificano pregiudizi e abitudini comportamentali che sono esattamente il contrario di quanto accade nei "team ad alta performance".

Con il passare del tempo, nei gruppi di lavoro accade che il livello di "sicurezza psicologica" scende sotto una certa soglia raccomandabile (A. Edmondson); oppure non la si supera mai, rendendo perciò impossibile un vero "apprendimento di gruppo".
 
  • I dati di ricerca disponibili sull'argomento e l'esperienza professionale a stretto contatto con i guppi di lavoro disfunzionail, mi invitano ad un sereno "scettismo empirico" verso quelle attività di team building (ora anche in versione on line, of course...), spacciate come "strumenti" per migliorare la collaborazione di gruppo.
 
  • Perchè? Perché non si misurano mai i "risultati" di queste attività nel medio-lungo periodo.

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    autori

    Alberto Agnelli
    Marco Righi 
    Martina Pumo

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