"Bene, vi abbiamo presentato il progetto. E ora, qual è il prossimo passo?" "Adesso lo condividiamo internamente e poi ci risentiamo..." Questo il "refrain" che sentiamo sempre più spesso nelle aziende. Passione per la democrazia partecipativa? Magari... - Dietro l'abitudine alla "condivisione" compulsiva, si nasconde invece la più semplice ed umana delle emozioni: la paura di decidere. Decidere contiene in sè una minaccia ineludibile: quella d'errore, del ritrovarsi soli, magari anche incompresi. Perciò prevale la ricerca del consenso popolare a scapito di una capacità di sintesi che talvolta è necessaria, ovviamente con tutte le conseguenze del caso. L'imperatore e filosofo Marco Aurelio, esponente dello stoicismo insieme a Seneca ed Epitteto, era solito chiudersi nella sua tenda e annotare acuti pensieri sulla vita e la morte. Le sue medtiazioni sono una miniera inesauribile di saggezza; è lì tutta da prendere, se qualcuno ne avesse ancora voglia. Noi preferiamo invece passare il nostro tempo in fatue riunioni di "condivisione". Preferiamo le scorciatoie, perché viviamo in una cultura del "fast-thought", che non ammette il vuoto, la paura, l'incertezza. - Perché mai macerarsi con pensieri inquietanti e sentimenti indicibili? Non si addice ai tempi del mercato e della iper-competitività. Annacquiamo il processo decisionale, così nessuno si sentirà davvero mai responsabile fino in fondo di avere deciso. - Se l'azienda che dirigete fosse davvero vostra; se aveste piena consapevolezza che dalle vostre decisioni dipende cosa accadrà il mese prossimo, anche da un punto di vista finanziario; e se foste davvero consapevoli che democrazia significa decidere nel nome del bene comune e non pararsi invece il "lato B": allora appiccichereste sul vostro desktop queste parole: "Scava dentro. Dentro è la fonte del bene, fonte inesauribile, se ci scaverai sempre" (Marco Aurelio, settimo libro)
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"Spazzatura dentro, spazzatura fuori", ossia: se introduco informazioni scadenti, otterrò risultati scadenti. E' un principio ben noto agli informatici e si applica a tantissime situazioni della nostra vita.
Se mi nutro di cibo buono, faccio buone letture, ascolto musica bella, contemplo la bellezza del cielo oppure di una chiesa romanica; se tratto bene il mio corpo; se amo gli animali e sorrido ai bambini; se abbraccio il prossimo con la stessa gentilezza con cui abbraccerei me stesso; se ogni giorno penso che l'Altro è simile a me, anche quando sbaglia; se penso che un giorno invecchierò anch'io e avrò intorno a me ciò che ho seminato, allora trasmetterò all'esterno inconsapevolmete un'energia travolgente che trasformerà il mondo. E il mio sorriso diventerà quello di Topo Gigo... ops, volevo dire Topo Gigio Invece no. C'è un virus che fa più danni del Covid: la povertà di spirito. "Sarebbero da fare fuori" "Chi nasce tondo, non può morire quadrato" "Sono morti che camminano" "Vogliono soltanto un aumento di stipendio" "Hanno ormai il cervello piallato" "Solo l'assunzione di giovani potrebbe cambiare la situazione" - Un'antologia di visioni del mondo che talvolta capita di incontrare nei corridoi delle aziende. - Convinzioni "ciniche" sulla natura dell'essere umano e più in generale sul potenziale di cambiamento delle organizzazioni. Nel tempo, queste "letture del mondo" diventano agenti patogeni che sviluppano un atteggiamento micidiale: l'idea che "noi siamo migliori degli altri". Migliori di questi colleghi, migliori dei clienti, migliori dei nostri fornitori, migliori della concorrenza. - Cosa fare?
"La gestione dell'impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell'impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento. Negli ultimi anni si è notata la crescita di una classe cosmopolita di manager, che spesso rispondono solo alle indicazioni degli azionisti di riferimento costituiti in genere da fondi anonimi che stabiliscono di fatto i loro compensi. Anche oggi tuttavia vi sono molti manager che con analisi lungimirante si rendono sempre più conto dei profondi legami che la loro impresa ha con il territorio, o con i territori, in cui opera". Investire - aggiunge Benedetto XVI - ha sempre un significato morale oltre che economico. - Tutt'altra musica, vero?
Sai gestire il tuo tempo? Sicuramente è una capacità importante per coniugare al meglio vita personale e vita lavorativa. Nelle aziende, ma anche on line, sono disponibili molti corsi dedicati all'argomento: - La gestione efficace del tempo - Time Management (che è la stessa cosa, ma vuoi mettere l'effetto?) - Gestire il tempo e gli obiettivi - Gestione del tempo e dello stress Sono corsi utili? Bisognerebbe chiederlo a chi li ha frequentati. Quando ero più giovane, eroico e soprattutto "free-lance", ne ho tenuti a decine. Mi capitava a volte di provare imbarazzo. Dentro di me sentivo che parlare del tempo degli "altri", senza un'adeguata riflessione sul valore del tempo in generale e soprattutto su come vivessi il "mio" di tempo, rischiava di farmi passare come "esperto" agli occhi delle persone, quando invece esperto non ero. Anzi, ho vissuto per anni in lotta con il "mio" tempo. E l'ho sempre detto ai gruppi di persone con cui stavo lavorando.
Per chi ha frequentato il liceo, Seneca purtroppo è spesso soltanto un ricordo (doloroso) associato allo studio del latino. Per chi invece non lo ha mai incrociato nella propria vita, possiamo dire che Seneca oggi sarebbe paragonabile ad un buon mentore, una specie di "coach". Così va meglio, vero? (non me ne vogliano i classicisti...)
"Fai così, Lucilio mio, rivendica il tuo diritto su te stesso e il tempo che fino ad oggi ti veniva portato via o carpito o andava perduto raccoglilo e fanne tesoro (...) Dunque, Lucilio caro, fai quel che mi scrivi: metti a frutto ogni minuto; sarai meno schiavo del futuro, se ti impadronirai del presente. Mentre rinviamo i nostri impegni la vita passa. Niente ci appartiene, Lucilio, solo il tempo è nostro". Se fossi a capo di un'azienda, proporrei a tutti i manager di riflettere sulle parole di Seneca. E poi chiederei loro di calcolare il tempo che spendono e fanno spendere ai loro collaboratori in attività che non danno valore alcuno. Mi fermo qui. Non voglio sprecare oltremodo il vostro tempo. Impegno = credere in ciò che facciamo e mostrarlo in prima persona. Si parla anche di "committment". Stiamo parlando di persone con incarichi di responsabilità che hanno voglia di "sporcarsi le mani". Oppure di persone senza il titolo di "capo", coordinatore, responsabile, ecc., ma dotati di forte leadership personale. La nostra prima panoramica sulla leadership positiva riguarda un aspetto facilmente intuibile, che merita tuttavia la nostra attenzione. Perchè?
"Non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore", disse il 13 maggio 1940 Winston Churchill, durante il suo primo vibrante discorso alla Camera dei Comuni. Il cielo d'Europa si faceva sempre più plumbeo sotto gli attacchi del regime nazista. Churchill si rivolse a tutto il popolo inglese in modo secco e diretto, com'era nel suo stile. Dopo di che rientrava nel suo "bunker" - che è stato peraltro oggetto delle sue critiche per questioni di sicurezza - a soltanto tre metri sotto il suolo. Tanto per capirci, quello di Hitler era 10 metri sotto il suolo. Ciò nonostante, da alcuni documenti rinvenuti nel 2009, il Premier britannico decise comunque di rimanere a Londra, proprio per “non dare la sensazione che stesse abbandonando i londinesi”. Dedichiamo questo post a tutte quelle donne e a quegli uomini che, spesso senza nemmeno essere capi, fanno la differenza. Costoro vanno avanti e sono di esempio per gli altri nonostante le difficoltà, e lo fanno senza lamentela né vanagloria. Loro non abbandonano la nave. Basta aggiungere il termine "remote" è il gioco è fatto! Dal Covid in poi, si sono scatenate le proposte formative per le aziende: - Remote leadership - Remote public speaking - Remote meeting - Remote management Il tutto ovviamente condito dalla sempiterna parola "gestione" e l'aggettivo "efficace". I risultati di questa orgia linguistica sono a dir poco esilaranti. Basta consultare internet per rendersene conto. Titolo del corso: «Remote Leader» Argomenti: - Sviluppare una leadership efficace - Costruire relazioni di fiducia - Coltivare l’empatia - Riadattare il proprio metodo e trovare il proprio stile - Cogliere «malesseri» e bisogni: - Dare e ricevere feedback - Comunicare in maniera chiara, efficace, puntuale Caspita, quante novita! Ovviamente questi corsi esistono, perché esistono le aziende che li acquistano. Anzi, per essere precisi: esistono questi corsi, perché sono "acquistati" dalla Direzione del Personale. Domande innocenti:
Esistono alcuni Paesi decisamente più avanzati del nostro in materia di "mental health in the workplace" e nei quali HR ha già da anni impresso una svolta cruciale al proprio ruolo, passando da "Controllore" delle risorse umane a "Fornitore" di servizi integrati per la persona. Occorre guardare a quelle esperienze se vogliamo affrontare questo tema in modo professionale dato che - come visto nei precedenti post - esso ha anche un impatto notevole sulla profittabilità delle imprese. Queste sono le linee da seguire per sviluppare una corretta politica di gestione e prevenzione del disagio mentale in azienda:
Se vi state chiedendo: "ma nella mia organizzazione non siamo pronti", allora è il caso di iniziare subito. Non si è mai abbastanza pronti per trattare questi argomenti, quindi lasciamo gli alibi da parte e mettiamoci al lavoro. Prima lo fate e prima raccoglierete i frutti di queste iniziative. Il profitto è conseguenza del benessere, non il contrario. L'argomento in Italia è delicato e da qualche giorno stiamo tentando nel nostro piccolo di rompere il muro di silenzio che è stato innalzato nel corso degli anni. Vogliamo ridare dignità a tutti coloro che ne soffrono oppure ne hanno sofferto in passato. Vediamo i "numeri". Già, perché senza numeri, gli scettici e i cinici che appestano l'atmosfera relazionale delle organizzazioni, non si sentirebbero mai chiamati in causa ad occuparsi di questo tema. E anche laddove i numeri fossero disponibili, ci sarebbe comunque una "resistenza culturale " da superare, di cui parleremo prossimamente. In ogni caso, la situazione in UK fotografata da un rapporto di Deloitte su salute mentale e lavoratori è implacabile: - Prima del COVID, otto persone su 10 avevano avuto problemi di salute mentale e citavano il lavoro come fattore scatenante, il 44% dei giorni di malattia era dovuto a stress, depressione o ansia legati al lavoro e il costo dell'assenteismo per i datori di lavoro era di 45 miliardi di sterline - Dopo il COVID, sulla base dei dati governativi, il livello di stress psicologico nella popolazione è passato dal 20.8% al 29.5% , soprattutto in coincidenza dei lockdown nazionali ed è plausibile immaginare che sia salito di conseguenza anche quello già presente nelle aziende Dunque COVID significa anche disagio mentale, causato da: - Impoverimento delle relazioni sociali - Nuove ruotine di lavoro legate allo smart-working a cui pochi sono abituati - Il ritmo lunedì-venerdì dei lavoratori dipendenti improvvisamente spazzato via Il problema dunque esiste e va affrontato. Si tratta ora di capire cosa possono fare i manager e in generale le persone di HR per gestire questo tema in azienda. Amore, dono e feedback. Se c'è qualcosa che merita di essere esplorato quando parliamo di feedback, al di là degli aspetti comportamentali, è la "qualità" delle nostre conversazioni con gli altri. ll feedback, anche leggendo i vostri commenti sui precedenti post, spesso diventa un giudizio, una critica, ferisce anzichè nutrire e ciò è esattamente il contrario del feedback.
Purtroppo alcune conversazioni non sono "nutritive", non generano crescita, ma anzi addirittura la bloccano.
Si dice spesso che il feedback sia un dono. Ed è vero: se vogliamo che il feedback diventi un'occasione di sviluppo personale e professionale, il mio atteggiamento deve essere orientanto verso il dono.
“La gentilezza delle parole crea fiducia. La gentilezza di pensieri crea profondità. La gentilezza nel donare crea amore.” Lao Tse Allora, per quanto eversivo possa sembrare questo tema all'interno delle organizzazioni, dobbiamo avere il coraggio di chiederci: qual è il mio rapporto con l'amore? Seguendo questa pista, arriveremo al cuore del nostro discorso e capiremo il vero motivo per cui alcune persone, pur sapendo cosa sia "tecnicamente" il feedback, in realtà non sanno darlo e tantomeno sanno riceverlo. Caro manager, insegnante, genitore, parente, collega, partner o chiunque tu sia:
Dietro queste domande c'è la questionde del "feedback". La lingua italiana deve trovare una formulazione molto più articolata della lingua inglese, per arrivare a cogliere il significato profondo, il "cuore" del feedback. Sono tanti i fattori che influenzano la capacità di dare un feedback. Uno di questi è il linguaggio, cioè le parole che usiamo. Ringrazio un lettore dei nostri post per avere sollevato la questione. Le neuroscienze ci vengono in aiuto. La neurochimica delle nostre conversazioni cambia radicalmente se uso le parole giuste oppure quelle sbagliate. Possiamo avere conversazioni negative (cortisol-producing) e conversazioni positive (oxytocin-producing) e le tracce di questi ormoni hanno tempi diversi di permanenza nel nostro sangue. L'ossitocina scompare molto più rapidamente del cortisolo. Ricordiamo molto più a lungo le parole che ci hanno ferito rispetto a quelle che ci hanno fatto stare bene. Sulla rivista Harvard Business Review nel 2014 è stato pubblicato un articolo che presenta alcuni dati di ricerca sul potere evocativo del linguaggio. Avevamo bisogno della HBR per convincerci che comunicare efficacemente fa la differenza? Sì. Ma siamo sicuri che siamo adeguatamente formati su questo argomento? Vi lasciamo con una nota di ottimismo: no |
AUTORIAlberto Agnelli ArchivesCategories
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