![]() L'argomento in Italia è delicato e da qualche giorno stiamo tentando nel nostro piccolo di rompere il muro di silenzio che è stato innalzato nel corso degli anni. Vogliamo ridare dignità a tutti coloro che ne soffrono oppure ne hanno sofferto in passato. Vediamo i "numeri". Già, perché senza numeri, gli scettici e i cinici che appestano l'atmosfera relazionale delle organizzazioni, non si sentirebbero mai chiamati in causa ad occuparsi di questo tema. E anche laddove i numeri fossero disponibili, ci sarebbe comunque una "resistenza culturale " da superare, di cui parleremo prossimamente. In ogni caso, la situazione in UK fotografata da un rapporto di Deloitte su salute mentale e lavoratori è implacabile: - Prima del COVID, otto persone su 10 avevano avuto problemi di salute mentale e citavano il lavoro come fattore scatenante, il 44% dei giorni di malattia era dovuto a stress, depressione o ansia legati al lavoro e il costo dell'assenteismo per i datori di lavoro era di 45 miliardi di sterline - Dopo il COVID, sulla base dei dati governativi, il livello di stress psicologico nella popolazione è passato dal 20.8% al 29.5% , soprattutto in coincidenza dei lockdown nazionali ed è plausibile immaginare che sia salito di conseguenza anche quello già presente nelle aziende Dunque COVID significa anche disagio mentale, causato da: - Impoverimento delle relazioni sociali - Nuove ruotine di lavoro legate allo smart-working a cui pochi sono abituati - Il ritmo lunedì-venerdì dei lavoratori dipendenti improvvisamente spazzato via Il problema dunque esiste e va affrontato. Si tratta ora di capire cosa possono fare i manager e in generale le persone di HR per gestire questo tema in azienda.
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AUTORIAlberto Agnelli ArchivesCategories
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